Fino agli anni ’70 dello scorso secolo la produzione dei tappeti persiani era quasi interamente di buona se non di ottima manifattura. A partire dalle istituzioni fino alle famiglie che annodavano, la realizzazione dei tappeti di qualità, per cui la Persia era conosciuta in tutto il mondo, era oltremodo difesa.
Vi si impiegavano, anche negli esemplari meno pregiati, buoni materiali scelti con cura; si procedeva con un’annodatura che rispondeva a criteri tramandati da secoli e, persino nelle qualità meno prestigiose, i manufatti erano creati per durare nel tempo. Il costo di questa produzione rispecchiava i criteri con cui veniva realizzata: tempo, costo delle materie prime e, non ultimo, il valore aggiunto della sua storia.
Benché in Iran, in quegli anni, il costo della manodopera fosse ancora relativamente basso, il costo di un tappeto persiano era decisamente elevato.
La crescente richiesta del mercato occidentale di tappeti orientali negli ultimi anni del decennio e per tutto quello successivo, hanno favorito l’enorme diffusione delle produzioni a nodo semplice (anziché doppio come quelle persiane), decisamente meno pregiate. Si trattava principalmente dei manufatti di provenienza pakistana: ebbero grande fortuna in quegli anni i famosi Bukara, nati imitando il disegno geometrico detto ‘a zampa di elefante’ dei più ricercati e omonimi tappeti caucasici, sviluppando in seguito disegni propri e utilizzando lane trattate per ottenere un effetto lucente; oppure dei prodotti indiani, realizzati in lana e con disegni floreali, principalmente nelle aree di Agra e Jaipur, o in seta nelle aree del Kashmir intorno a Srinagar.
Anche i manufatti turchi geometrici, sovente annodati in lana su lana, ed una discreta produzione cinese rifornivano il mercato di esemplari che costituivano un’alternativa ai più costosi tappeti persiani, offrendo una qualità dignitosa e buone caratteristiche estetiche.
A partire già dalla metà degli anni ’80 l’ulteriore aumento del costo della manodopera iraniana ebbe come risposta la produzione parallela in Pakistan di tappeti a nodo doppio, come quelli persiani, ispirati ai disegni ed agli impianti decorativi degli stessi e che vennero denominati con il nome degli originali persiani di cui imitavano le caratteristiche. Questi manufatti erano detti Islamabad (o Ziegler) e nonostante la fitta annodatura garantisse una notevole robustezza, i materiali impiegati conferivano un’inevitabile rigidità.
Il costo di gran lunga inferiore rispetto agli autentici persiani di cui erano copie, ne agevolò comunque un’ampia diffusione sul mercato occidentale. Sulla scia di questo successo, negli stessi anni, nacquero anche in India e persino in Romania, manifatture che producevano copie – più o meno curate – dei pregiati persiani.
Il successo di queste produzioni più economiche indusse anche gli annodatori iraniani a realizzare esemplari dai costi più contenuti: per far ciò, fu necessario ridurre drasticamente il numero dei nodi ed impiegare materiali meno pregiati.
Questa politica commerciale ebbe all’inizio un ritorno economico di tutto riguardo: sul mercato iniziarono ad arrivare tappeti dai nomi importanti e di lunga tradizione, ma a prezzi molto più contenuti. Occorse tempo affinché il pubblico cominciasse a comprendere che nonostante la provenienza fosse quella originale persiana, la qualità di manufatti non era più quella per cui erano rinomati da secoli.
In questa rincorsa al prezzo sempre più basso, all’inizio del nuovo millennio, tappeti persiani di infima qualità e di prezzo minimo erano ormai in vendita anche presso la grande distribuzione.
Quando questa produzione scadente ebbe saturato il mercato e con l’arrivo di una lunga crisi internazionale, la domanda crollò, lasciando i magazzini iraniani colmi di merce invenduta. Anche le copie cinesi che avevano seguito negli anni lo stesso percorso contribuirono a questa implosione del mercato del tappeto benché proprio i cinesi furono i primi a tornare a produrre manufatti di grande qualità.
Paradossalmente infatti, mentre la fascia di acquirenti a cui erano destinate le produzioni economiche aveva cominciato a risentire di una crisi che sarebbe iniziata proprio in quegli anni per esplodere e perdurare negli anni successivi, il mercato del lusso richiedeva ancora beni di grande prestigio. Così le manifatture cinesi rispolverarono la loro migliore tradizione annodatoria iniziando a creare copie di tappeti pregiati con materiali pregiati. Purtroppo, sempre e solo di copie si tratta.
Parte di questa produzione viene oggi addirittura venduta a paesi come Iran e Turchia e successivamente esportata per rispondere alla richiesta di prodotti pregiati del mercato occidentale.
Il risultato è un mercato alquanto opaco, confuso e contradditorio in cui l’acquirente finale trova enorme difficoltà a comprendere le abissali differenze di prezzo e di valore. L’autentica produzione persiana più pregiata e prestigiosa è ridotta oggi a pochissimi esemplari.
Sovente gli stessi rivenditori di tappeti (c’è in questo settore un’innegabile improvvisazione) non sono in grado di riconoscere le differenti provenienze e di assegnare un valore corretto agli esemplari. Per districarsi in un settore così ingarbugliato e purtroppo ricco di imbonitori e mercanti di scarsa preparazione, occorre oggi più che mai affidarsi a mediatori di provata competenza e di lunga esperienza.
Gli esemplari di sicuro valore e di qualità inarrivabile sono oggi veramente molto rari: gran parte della produzione iraniana e turca tende a produrre tappeti belli e raffinati ma risparmiando sui costi per contenere il prezzo finale.
Ne risultano manufatti prodotti, ad esempio con la seta sintetica (rayon p viscosa) piuttosto che annodati con la tecnica jufti che da l’effetto di una battitura fitta dei nodi ma in realtà non garantisce una lunga durata. La prima difficoltà nei paesi produttori è di reperire manodopera altamente specializzata nell’annodatura e questo è uno dei motivi per cui sono pochissime le scuole capaci di creare capolavori prestigiosi oggi.
La raccomandazione per chi volesse addentrarsi nel collezionismo è sempre la stessa: diffidare degli ‘affarissimi’ ed accertarsi della competenza del mediatore per iniziare un percorso in un mondo ancora straordinariamente affascinante e di indiscutibile valore culturale, estetico ed economico.