Gli uccelli, reali o immaginari, hanno sempre affascinato gli uomini per la loro capacità di cantare e di volare che li distingue da tutte le altre creature. Nel corso della storia, sono molti gli imperi e le dinastie ad averli adottati come simboli e si può dire che li troviamo in ogni forma d’arte, dalle caverne preistoriche fino ai giorni nostri.
Il pavone è uno degli uccelli che troviamo più sovente nelle arti visive iraniane.
A partire dal medioevo è infatti uno dei simboli più utilizzati e più significativi della cultura persiana. Originario dell’India, introdotto in Europa già in epoca classica, grazie allo splendore delle piume della sua coda a ruota ed al suo strano verso, ha dato vita a leggende e miti in molte religioni.
Secondo alcune antiche leggende indiane, diffuse più tardi in Persia, gli occhi che sembrano ornare la coda a ruota rappresentavano il sole onnisciente ed il ciclo infinito dell’universo. Secondo altre, uccidevano le serpi per utilizzarne la saliva proprio per rendere lucenti e brillanti i colori degli occhi. I Persiani, inoltre, credevano che la sua carne fosse incorruttibile; per questo e per le sue piume che si rinnovano ogni anno, i Cristiani lo adottarono quale simbolo della resurrezione.
Il pavone vanitoso che schiamazza per restare nel Paradiso lo troviamo anche tra i versi di una delle più famose opere epiche orientali, La conferenza degli uccelli di Attar di Nishapur. Benché siano poche quelle arrivate fino a noi, le illustrazioni di questo testo sono capolavori della miniatura Persiana e sono indicative della grande influenza del lavoro letterario sulla cultura visiva islamica.
La Conferenza degli uccelli è il racconto dell’epopea degli uccelli che partono alla ricerca di Simorgh, il re, alla guida di un’upupa. Soltanto trenta di loro riusciranno a raggiungere il palazzo reale dove scopriranno che Simorgh altri non è che loro stessi. Un testo allegorico in cui attraverso l’utilizzo simbolico degli animali, in particolare degli uccelli, si narra il viaggio mistico Sufi verso la verità. In una versione illustrata della Conferenza degli uccelli, troviamo il pavone raffigurato con l’upupa.
Anche nella Persia degli Achemenidi si rintracciano testimonianze sui pavoni. Sembra che, indicati con il termine basbas, compaiano in molte delle tavolette della fortificazione dell’antica Persepoli. A conferma che fossero animali di una certa rilevanza per i Persiani, leggiamo in alcuni testi notizia di speciali razioni di cibo riservate ai maschi della specie e, addirittura, un trattamento alimentare di qualità anche per i loro custodi, segno che quest’ultimi godevano di uno status di lavoro privilegiato.
La stessa moglie di Dario I pare tenesse molti esemplari di pavone come animali d’élite da sfoggiare.
Nella Persia zoroastriana era considerato un uccello sacro. Anticamente considerato immortale, era associato alla vita eterna e, in epoca Sasanide, all’albero della vita, tema molto presente ed ampiamente diffuso in tutte le declinazioni artistiche in Iran. Non è raro nelle decorazioni di questo periodo trovarlo raffigurato con un pavone ai lati o tra i suoi rami.
Nel 1739 i persiani sottrassero all’India il famoso trono del pavone e da allora spesso l’uccello è stato identificato con la monarchia persiana, diventandone il simbolo. Alcune etnie poi, ad esempio gli Yezidis, insediati in Armenia, Kurdistan e nelle montagne del Caucaso, veneravano Malik-e-Taus un demone redento dalle sembianze di un pavone.
Non ultimo, la rappresentazione di origine persiana di due pavoni raffigurati simmetricamente ai lati dell’albero cosmico, indica la dualità dell’uomo che attinge la propria forza vitale dal principio di unità.