Isfahan

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L’annodatura di tappeti ha raggiunto ad Isfahan – dal XVI secolo fino ai giorni nostri senza soluzione di continuità – la sua massima espressione. I tappeti realizzati ad Isfahan, dai tempi di Abbas I, sono tra i prodotti di maggior qualità e prestigio di quest’arte. Questa lunga storia ha favorito una continua ricerca dell’eccellenza – di materiali, di disegni e di annodatura – grazie anche a famiglie, maestri e laboratori di straordinario talento.

Isfahan (o Esfahan), antica capitale dell’impero persiano, oggi capoluogo dell’omonima provincia, è una città dell’Iran centrale che sorge a 1600 metri di altitudine, a margine della catena montuosa degli Zagros.

Anticamente conosciuta con il nome di Aspadana, è una delle più antiche dell’Iran, capitale del regno in epoca safavide (1501-1736) ma soprattutto ai tempi del magnifico Shah Abbas, che diede enorme impulso urbanistico e culturale alla città. In epoca safavide nascono e si sviluppano anche le arti per cui la città diventerà famosa: la lavorazione e la cesellatura dei metalli, le ceramiche decorate, i legni intarsiati, detti Khatam, peculiari proprio di questa zona e la fondamentale manifattura tessile che spaziava dalla seta al cotone, alla lana, ai sontuosi broccati e, naturalmente, ai tappeti.

Quest’ultima arte ha raggiunto ad Isfahan – dal XVI secolo fino ai giorni nostri senza soluzione di continuità -la sua massima espressione. I tappeti realizzati ad Isfahan, dai tempi in cui Abbas I portò i migliori ustad (maestri) da ogni angolo dell’impero per incentivare e promuovere la creazione di capolavori, sono tra i prodotti di maggior qualità e prestigio di quest’arte. Ai tempi del magnifico sovrano, nacque addirittura una produzione di esemplari con inserti in metalli preziosi, argento e oro, detti Polonaise.

La tradizione di eccellenza proseguì anche oltre la conclusione del periodo delle manifatture imperiali nei numerosi laboratori cittadini dove, alla fine dell’ottocento, confluirono grandi disegnatori che contribuirono a mantenere raffinatissima e innovativa quest’arte dando inizio alla tradizione di laboratori prestigiosi che, nel tempo, avrebbero fatto capo a maestri annodatori del calibro di Serafian, Davari, Enteshar, Haghighi.

Lavorati su telai verticali, i tappeti di Isfahan hanno sovente sia trama che ordito in seta (la produzione con la base in cotone prende quasi sempre il nome dall’attigua Najavabad). Il vello è realizzato con le migliori lane, siano esse kork o, negli ultimi decenni, di importazione australiana le pregiate lane merinos, con i dettagli in seta naturale. Il nodo è senneh, ovvero asimmetrico, la rasatura è molto bassa per mettere in risalto la finezza. La densità di annodatura è elevatissima, fino a un milione e mezzo di nodi al metro quadro. In rari casi troviamo l’ordito (e quindi la frangia) haft rangh, vale a dire sette colori.

I disegni si ispirano spesso ai decori dell’epoca safavide, rivisitati ed attualizzati o reinterpretati da maestri che operano nei più prestigiosi laboratori locali. Tra i disegni più frequenti vi è il medaglione centrale oppure le rose Shah Abbas legate tra loro da eleganti tralci, chiamati aslimi, oppure la decorazione ispirata alle cupole delle architetture islamiche delle moschee, dei palazzi o dei giardini. Non mancano gli esemplari figurati con scene di caccia o tratte dall’epica persiana, di annodatura finissima e di ampia tavolozza di colori. Le cornici sono sempre multiple, dense di palmette e sovente con cartigli.

Da sempre gli Isfahan si trovano in un’ampia gamma di colori con prevalenza dei toni azzurro, blu e crema, ma che spaziano fino al rosso intenso, al bianco, al verde e difficilmente ogni tappeto ha meno di 8 colori, arrivando ad impiegarne anche 18/20.

Benché negli ultimi decenni si sia sviluppata anche una cospicua produzione locale di qualità inferiore e dalle quotazioni più competitive restano alcune – seppur rare – scuole discendenti da maestri o da prestigiose famiglie di annodatori che realizzano un ristretto numero di straordinari manufatti utilizzando materiali pregiati, annodature finissime e dall’impianto decorativo originale. E’ il caso dei capolavori di Mansuri, o degli splendidi esemplari a firma Emadhi: le loro raffinate e rare creazioni sono tra le più ricercate e, purtroppo, tra le più maldestramente imitate.